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(Newton Compton); la seconda è di Jorge Luis Borges, tratta da L oro delle tigri (El
oro de los tigres, 1972) nella traduzione di J. Rodolfo Wilcock e Livio Bacchi
Wilcock (Meridiani Mondadori).
Tamerlano
di Edgar Allan Poe
Tamerlano, il grande, spietato ed effimero conquistatore mongolo (1336-
1405), colpì potentemente l immaginazione romantica. E qui il personaggio è
rivisitato in chiave di contrasti e chiaroscuri byroniani (assai scarso, resta
ancora, invece, l influsso del potente Tamburlaine dell elisabettiano Marlowe).
Tra le varie leggende che ben presto si diffusero, prese corpo quella degli umili
natali, della low birth di Tamerlano: da pastore a signore di un vasto dominio.
Nel Tamerlane di Nicholas Rowe (1702), il potente sovrano era presentato come
umano e  liberale (alla Guglielmo d Orange), in contrasto con Bayazet, il
sultano turco  assolutista (nel quale era tipizzato Luigi XIV, il re di Francia).
Un più potente recente Tamerlane (1811) era quello di Lewis (l autore del
Monaco), rappresentato anche a Richmond (nel 1822). Ma Poe introduce una
dialettica di ambizione-amore, in cui proietta entusiasmi e delusioni in relazione
col giovanile amore per Elmira Royster, che diventerà invece, di lì a poco, la
singora Shelton. Poe ritornò più volte sul suo poemetto. Pubblicato nel 1827 in
più ampia redazione (di 406 versi), fu poi ridotto ai 243 della redazione del
1829; dilatato ancora (1831), sarà infine ricondotto (1845), con alcune
correzioni, alla redazione del 1829. [Tommaso Pisanti]
Dolce sollievo nell ora in cui si muore!
Ma non di questo, padre, ora tratterò con te -
Né riterrò, stoltamente, che da un potere
Terrestre possa mai lavarsi il peccato
Cui l indusse un orgoglio che va oltre l umano. -
Non ho io tempo per sogni o per fole:
E tu parli di speranza - quel fuoco d ogni fuoco!
Non è che tormentosa brama:
E se sperare m è dato - m è dato, o Dio! -
Da più sacra fonte mi proviene, più divina.
Non vorrei chiamarti stolto, vecchio:
Ma questo non è dono che derivi da te.
Tu apprendi il segreto d uno spirito
Atterrato dal suo stesso immane orgoglio.
O cuore avido! - da te io ereditai anche,
Con la fama, la tua parte più peritura,
Quel che appassisce e muore, divorante
Vampa fra le gemme del mio trono,
Alone d Inferno! E con tale strazio, insieme,
Che dall Inferno stesso di più non avrò a temerne.
O cuore che ti struggi ora per i perduti fiori,
Per il fulgore di quelle mie ore d estate!
L immortale voce di quel morto tempo,
Col suo incessante, tinnulo scampanio
Ancora per me risuona, soffio d un incanto,
Nel vuoto e nel deserto! Ma è ora un rintocco.
Non sempre fui quel che sono:
Il febbrile diadema sulla mia fronte
Io lo pretesi un tempo e l usurpai -
E non fu forse lo stesso fiero retaggio
Che diede Roma a un Cesare? Questo valse per me.
Il retaggio di una tempra regale
E d uno spirito indomito, altèro, che lotta -
Trionfandone infine - contro il genere umano.
La mia prima vita fu tra gli aspri monti:
Le nebbie del Taglay1 cosparsero
Il mio capo di notturne rugiade,
E l alata contesa, com io credo,
E il tumulto e l assalto dei venti
Tra le mie chiome ebbero il nido.
Tardi - quella rugiada - calò dal cielo
(Fra sogni di una notte dissacrata!)
Su di me col tocco dell Inferno,
Mentre il rosso baleno della luce,
Dalle nuvole svettanti come stendardi,
Rivelava al mio occhio socchiuso
La magnificenza del regale potere;
E come una tromba l alto rombo del tuono
A me si volgeva con furia, contandomi
D umane battaglie e d eserciti, dove
La mia voce, la mia voce sovrastava
(Oh, come si beava il mio cuore di fanciullo
Insensato, ed in me balzava esultante
Della vittoria al grido e al clamore!).
La pioggia batteva sul mio capo
1
Il poeta adopera, con approssimazione, uno dei nomi turchi per indicare la grande catena del pamir
(Bulyt-tagh:  montagne di nuvole ).
Indifeso - e l impetuoso vento
Mi rendeva folle e sordo e cieco.
Solo uomini, pensavo, quelli che gli allori
Spargevano su di me: e la foga,
Il torrente della gelida aria
Gorgogliava al mio orecchio scrosci e urti
D imperi - con lamenti di prigionieri -
Ronzio di supplicanti - e lusinghe
Di cortigiani intorno ad un trono.
Le mie passioni da quell infausta ora
Su di me usurparono una tirannia che molti
Poi attribuirono alla mia innata natura,
Poi che strinsi il potere! E sia pur così!
Ma, o padre, là viveva una fanciulla che allora -
Allora - nella prima età - quando il loro
Fuoco bruciava con più intensa fiamma
(Giacché con giovinezza anche la passione muore),
Già sapeva che questo ferreo cuore era partecipe
Del fragile incanto di una donna.
Oh, non ho parole per dirti
Della fascinosa bellezza di un amore!
Né ora vorrei neanche tentar di tracciare
La superiore beltà d un volto
I cui lineamenti, nella mia mente,
Son come le ombre sul vento mutevole:
A quel modo stesso ricordo che indugiai,
Talvolta, su pagine d antica sapienza,
Con occhio stregato, finché le loro lettere -
E i significati - si riconfondevano
In fantasie prive d ogni senso.
Oh, lei era ben degna di un amore!
Un amore - come il mio di fanciullo -
Che tale era che agli angeli del cielo
Destava invidia; e il suo giovane cuore un ara
Era per me, e incenso ogni mia speranza,
Ogni pensiero - innocenti doni, allora -
Giacché s offrivano schietti e fanciulleschi -
E puri - come il suo stesso esempio m indicava:
Oh, perché li abbandonai, perché, disviandomi,
M affidai, invece, al fuoco che m ardeva dentro?
Insieme crescemmo negli anni - nell amore,
Vagando per i boschi e per i luoghi più selvatici;
Il mio petto fu per lei scudo in avversa stagione;
E quando ci sorrideva e rifulgeva il sole
Ed ella osservava i cieli illimitati,
Altro cielo io non vedevo che nei suoi occhi.
Primo maestro d Amore è il cuore;
E allorché fra quei soli e quei sorrisi,
Immemori noi d ogni altra cura,
Io ridendo alle sue malizie di fanciulla
M accostavo al suo petto in tumulto
E il mio ardore riversavo in pianto,
Non altro avevo io a dire e ad aggiungere -
Nessun timore avevo da quietare in lei -
In lei che mai ragioni non chiedeva,
Ma solo volgeva a me il suo occhio tranquillo!
Più che degna dell amore col quale
Il mio spirito lottava e si struggeva -
Allorquando, vagando io solo sulla vetta,
L Ambizione gli dava altra tempra,
Più dura - io non avevo vita che nella tua:
L intero mondo e tutto quanto è in esso
In terra - nell aria - nel mare -
Ogni allegrezza - quel suo tanto di pena
Che era poi un nuovo piacere - e le parvenze
Labili e immaginarie dei notturni sogni,
E le ancor più vaghe, fosche parvenze che invece
Erano reali (ombre: e la luce stessa un ombra!),
Tutte fuggivano sulle loro ali di nebbia,
E confusamente, in tal modo, divenivano la tua
Immagine stessa e un nome - un solo nome!
Due separate sostanze insieme congiunte.
Io ero ambizioso. Hai tu conosciuto
La passione, padre? Tu non l hai conosciuta.
Pastore, sognavo di regnar
Su una metà almeno del mondo,
Non tolleravo quel mio basso
Destino. - Ma come già ogni altro sogno,
Nei rugiadosi vapori del mattino anche il mio
Sarebbe svanito, se di bellezza il raggio, [ Pobierz całość w formacie PDF ]
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