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send io destro com io mi riputo, quando fatto n arò uno
per infino in due, m arà paruto fare una singulare cosa.
Ma elli farà forse per questa maniera?  [303] E detto
cosí, e fé piú tomi con tanta velocità e prestezza che
non che e si vedesse che terra toccasse, ma elli parve
uno baleno che per l aiere balenasse, rimanendo ritto
sanza quasi spirare, presente tutta la lieta brigata.
[304] Allora tutti maravigliati e raguardandolo fisa-
mente, non essendo conosciuto, cosí gli fu detto per
messer Antonio:
 Valente uomo, noi aremo vagheza di sapere chi voi
siete e come siete qui arrivato, sendovi in piacere, ché
per buona fé e ci è singulare grazia la vostra venuta; e
bene avete mostrato essere vero la vostra credenza d es-
sere il più destro uomo del mondo, avendo fatto quanto
avete  .
[305] A ccui cosí il giocolare rispondea:
 Pregiato kavalieri, come che isconosciuto per alcu-
no rispetto io vada, vegendo e udendo di vostra nobiltà
e gentilezza, niente vi tacerò né disdirò. Io mi chiamo
Pelegrino, kavalieri nuovamene peÙllo illustrissimo re
Ladizlao fatto, e sono napoletano conosciuto. [306] E
subito giunto in Florenza, sentendo di questa vostra
compagnia, mi diliberai volerla vedere; il perché, né per
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altra cagione, qui a vostra casa con buona baldanza ve-
nuto sono. E se a voi è in piacere, a mme è singulare gra-
zia potere fare cose che a grado vi sieno e a questa vostra
compagnia tanto graziosa e gentile  .
[307] Sentito messer Antonio il suo nome e già aven-
dolo udito nominare più volte, prestamente gli fece una
buona faccia; e vedutolo in abito d uno famiglio, sanza
indugio fé venire una delle robe sue e cosí li disse:
 Messer Pelegrino, perché noi abiamo udito di vo-
stra virtú e destreza, alla brigata è una singularissima
grazia che voi qui arivato siate, e vendiamvi coÙgrande
piacere; [308] ma acciò che  l vostro abito del frigione
che indosso avete piú non c inganni né occulti il grado
della kavalleria che avete, vi piacerà mettervi questa pa-
landra, faccendoci singulare grazia questa prendere lie-
tamente e per nostro amore portalla  .
[309] Messere Pelegrino costumatamente il cavaliere
ringraziava; e quella presa, subito in dosso la si mise,
stando ciascuno a raguardallo per maraviglia. [310] E
cosí ragionando di molti signore e molte piacevole no-
velle, fu dapoi aparechiato per lo siniscalco la collazione
abondantissima, lieta e ricca. E finita la colazione, mes-
ser Pelegrino in piè si levò; e cavatasi la palandra, rimase
in giubbetto di seta isnello e grazioso, non altrementi
che falcone pelegrino si facesse, iscappellato dal suo
strozieri e maestro. [311] E fatte venire tavole, e su
comminciò a ffare cose che per ciascuno si giudicava,
nonn altrementi delle sue ossa elli fare torcelle parendo,
che delli suoi nervi facesse come spesso d una adatta e
forte ritorta si fae; dapoi con certe coltella e spade fra lo-
ro volgendo il corpo e lle reni, per sí fatta forma e ma-
niera che chi raguardava giudicava lui parere impossibi-
le questo fare sanza operazione di diabolica illusione.
[312] Fatto che ebbe infiniti giuochi, ciascheduno, stu-
pefatto, per comandamento del proposto si puose a sse-
dere, parendo loro che anzi la cena qualche novella utile
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Giovanni Gherardi - Il paradiso degli Alberti
e piacevole dire si dovesse. E ristrettosi insiemi chi l au-
torità avea di comandare, diliberarono che Francesco
musico la sua novella dicesse, considerato ancora niente
novellato avea.
[313] Udito Francesco che a llui novellare convenia,
alquanto sopra di sé istette, e poi coÙlieto volto dicea:
 Perch io debbo e voglio ubidire, con tutto che vo-
lentieri udire mi giova piú che novellare apresso a ttanti
dottori preclarissimi, occorrendomi per cagione di mes-
ser Pelegrino, del reame di Cicilia qui venuto, una no-
vella, la quale forse di là l ha sentita, e io mancando in
alcuna cosa, quella correggerà, il perché volentieri la
dirò  . [314] E cosí cominciava:
«Quanto fosse la velenosa e pestifera rabbia tra quell-
fi e ghibellini ne tempi passati non bisogna narrare, im-
però che delli incendi, omicidi, storsioni e ruberie
dall una parte all altra e dall altra all una ancora infino
nel presente dí per tutta Italia apariscono le vestigie e re-
liquie, cacciando e sterminando l uno l altro sanza pietà
o umanità alcuna.
[315] Adivenne adunque che, sendo i guelfi di Firen-
ze e universalmente di tutta Toscana di lor patria caccia-
ti e seguito valorissimamente Carlo primo re di Cicilia
contro a Manfredi che il regno teneva e da llui in campo
morto e con altorità della Chiesa quello aquistato e te-
gnendo, i guelfi ritornarono con gran vittoria in lor terre
e cacciarone i ghibellini con grande sterminio di loro e
di lor cose. [316] Tra quali cacciati fu un giovinetto del-
li Uberti, virtuoso assai per sua età che di sedici anni era,
e tra l altre virtú, che singulare avea, era d arte di musica
apresso a ogni grande maestro dottissimo, e quasi ogni
strumento musicale dolcissimamente sonare sapea, ma-
raviglia a vedere e udire. [317] E tra piú altre grazie
ch avea dalla natura era di belleza di corpo sommamen-
te dotato, che non altrementi aparea che uno nuovo Ga-
nimede o Narcisso. [318] Il quale, per piú e piú anni an-
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dando per lo mondo, finalmente capitò a Palermo in Ci-
cilia e quivi si riducea con uno speziale che fiorentino
era, chiamato Lionardo, tegnendo coÙllui parentado.
[319] E andando veggendo il giovane, che Bonifazio
si nomava, la terra per suo diporto, vide una bellissima
giovane a una finestra; e raguardandola con sommo pia-
cere, di lei ardentissimamente s inamorò. [320] E conti-
nuando l amore e di giorno in giorno infiammandosi ol-
tre a modo, intanto che chi lui volea quasi a ogni ora,
notturna e diurna, apresso della sua amata trovare lo po-
tea, e cosí passando alcun tempo, Bonifazio una notte
quivi con suo leuto cominciò a ssonare e a ssomissa voce
cantare suoi dolcissimi versi, ne quali insieme col leuto
mesericordia com-somma piatà e dolceza chiamava;
[321] intanto che per maraviglia, la gentil giovane essen-
do col marito alla frescura e udendolo, e fattosi ciascuno
di loro piú avanti, sí che udire meglio il potieno, per
grande spazio quello, non sanza somma consolazione di
ciascuno di loro, non sapiendo chi questi si fosse, gran-
de maraviglia di tanta melodia prendieno.
[322] Adivenne, mentre che cosí il tempo passava,
che il re Piero, per la calura a ssuo diporto essendo in
certi cortili apresso là dove Bonifazio cantando sonava,
udí la dolcissima ermonia; e perché elli era grandissimo [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]
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