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Ora che ci abbiamo la nostra barca, se arriviamo all esta-
te, coll aiuto di Dio, lo pagheremo il debito.  Ei non sa-
peva dir altro, e guardava le sue reti, seduto sotto il ne-
spolo, come se le vedesse piene.
 Adesso bisogna far la provvista del sale, prima che
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Giovanni Verga - I Malavoglia
ci mettano il dazio, se è vero  andava dicendo colle ma-
ni sotto le ascelle. Compare Zuppiddu lo pagheremo coi
primi denari, ed egli mi ha promesso che allora ci darà a
credenza la provvista dei barilotti.
 Nel canterano ci sono cinque onze della tela di Me-
na; aggiunse Maruzza.
 Bravo! con lo zio Crocifisso non voglio farci più de-
biti, perché non me lo dice il cuore, dopo l affare dei lu-
pini; ma trenta lire ce le darebbe per la prima volta che
andiamo in mare con la Provvidenza.
 Lasciatelo stare! esclamò la Longa, i danari dello zio
Crocifisso portano disgrazia! Anche stanotte ho sentito
cantare la gallina nera!
 Poveretta! esclamò il vecchio sorridendo al vedere
la gallina nera che passeggiava pel cortile colla coda in
aria e la cresta sull orecchio, come se non fosse fatto
suo. Essa fa pure l uovo tutti i giorni.
Allora Mena prese la parola e si affacciò sull uscio. 
Ce n è un paniere pieno di uova, aggiunse, e lunedì, se
compare Alfio va a Catania, potete mandare a venderle
al mercato.
 Sì, anche queste aiutano a levare il debito! disse pa-
dron  Ntoni; ma voi altri dovreste mangiarvelo qualche
uovo, quando avete voglia.
 No, non ne abbiamo voglia,  rispose Maruzza, e
Mena soggiunse:  Se le mangiamo noi, compare Alfio
non avrà più da venderne al mercato; ora metteremo le
uova di anitra sotto la chioccia, e i pulcini si vendono ot-
to soldi l uno. Il nonno la guardò in faccia e le disse:
 Tu sei una vera Malavoglia, la mia ragazza!
Le galline starnazzavano nel terriccio del cortile, al
sole, e la chioccia, tutta ingrullita, colla sua penna nel
naso, scuoteva il becco in un cantuccio; sotto le frasche
verdi dell orto, lungo il muro, c era appeso su dei piuoli
dell altro ordito ad imbiancare, coi sassi al piede.  Tut-
ta questa roba fa danari, ripeteva padron  Ntoni; e colla
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Giovanni Verga - I Malavoglia
grazia di Dio, non ci manderanno più via dalla nostra
casa. «Casa mia, madre mia».
 Ora i Malavoglia devono pregare Dio e san France-
sco perché la pesca riesca abbondante, diceva intanto
Piedipapera.
 Sì, colle annate che corrono! esclamò padron Cipol-
la, ché in mare ci devono aver buttato il colèra anche per
i pesci!
Compare Mangiacarrubbe diceva di sì col capo, e lo
zio Cola tornava a parlare del dazio del sale che voleva-
no mettere, e allora le acciughe potevano starsene tran-
quille, senza spaventarsi più dalle ruote dei vapori, ché
nessuno sarebbe più andato a pescarle.
 E ne hanno inventata un altra! aggiunse mastro Tu-
ri il calafato, di mettere anche il dazio sulla pece. Quelli
a cui non gliene importava della pece non dissero nulla;
ma lo Zuppiddu seguitò a strillare che egli avrebbe chiu-
so bottega, e chi aveva bisogno di calafatare la barca po-
teva metterci la camicia della moglie per stoppa. Allora
si levarono le grida e le bestemmie. In questo momento
si udì il fischio della macchina, e i carrozzoni della ferro-
via sbucarono tutt a un tratto sul pendio del colle, dal
buco che ci avevano fatto, fumando e strepitando come
avessero il diavolo in corpo.  Ecco qua! conchiuse pa-
dron Fortunato:  la ferrovia da una parte e i vapori
dall altra. A Trezza non ci si può più vivere, in fede mia!
Nel villaggio successe una casa del diavolo quando
volevano mettere il dazio sulla pece. La Zuppidda, colla
schiuma alla bocca, salì sul ballatoio, e si mise a predica-
re che era un altra bricconata di don Silvestro, il quale
voleva rovinare il paese, perché non l avevano voluto
per marito: non lo volevano nemmeno per compagno al-
la processione, quel cristiano, né lei né sua figlia! Coma-
re Venera, quando parlava del marito che doveva pren-
dere sua figlia, pareva che la sposa fosse lei. Mastro Turi
avrebbe chiuso bottega, diceva, ma voleva vedere poi
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come avrebbe fatto la gente a mettere le barche in mare,
che si sarebbero mangiati per pane gli uni cogli altri. Al-
lora le comari si affacciarono sull uscio, colle conocchie
in mano a sbraitare che volevano ammazzarli tutti, quel-
li delle tasse, e volevano dar fuoco alle loro cartacce, e
alla casa dove le tenevano. Gli uomini, come tornavano
dal mare, lasciavano gli arnesi ad asciugare, e stavano a
guardare dalla finestra la rivoluzione che facevano le
mogli.
 Tutto perché è tornato  Ntoni di padron  Ntoni, se-
guitava comare Venera, ed è sempre là, dietro le gonnel-
le di mia figlia.  Ora gli danno noia le corna, a don Sil-
vestro. Infine se non lo vogliamo, cosa pretende? Mia
figlia è roba mia, e posso darla a chi mi pare e piace. Gli
ho detto di no chiaro e tondo a mastro Callà, quand è
venuto a fare l ambasciata in persona, l ha visto anche lo
zio Santoro. Don Silvestro gli fa fare quel che vuole, a
quel Giufà del sindaco; ma io me ne infischio del sinda-
co e del segretario. Ora cercano di farci chiudere botte-
ga perché non mi lascio mangiare il fatto mio da questo
e da quello! Che razza di cristiani, eh? Perché non l au-
mentano sul vino il loro dazio? o sulla carne, che nessu-
no ne mangia? ma questo non piace a massaro Filippo,
per amore della Santuzza, che sono in peccato mortale
tutti e due, e lei porta l abitino di Figlia di Maria per na-
scondere le sue porcherie, e quel becco dello zio Santo-
ro non vede nulla. Ognuno tira l acqua al suo mulino,
come compare Naso, che è più grasso dei suoi maiali!
Belle teste che abbiamo! Ora vogliamo fargli la festa a
tutte coteste teste di pesce della malannata.
Mastro Turi Zuppiddu si dimenava sul ballatoio colla
malabestia ed il patarasso in pugno, che voleva far san-
gue, e non l avrebbero trattenuto nemmen colle catene.
La bile andava gonfiandosi da un uscio all altro come le
onde del mare in burrasca. Don Franco si fregava le ma-
ni, col cappellaccio in capo, e diceva che il popolo leva-
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va la testa; e come vedeva passare don Michele, colla pi-
stola appesa sulla pancia, gli rideva sul naso. Anche gli
uomini, a poco a poco si erano lasciati riscaldare dalle
loro donne, e si cercavano l un l altro per mettersi in
collera; e perdevano la giornata a stare in piazza colle
mani sotto le ascelle, e la bocca aperta, ad ascoltare il
farmacista il quale predicava sottovoce, perché non
udisse sua moglie ch era di sopra, di fare la rivoluzione,
se non erano minchioni, e non badare al dazio del sale o
al dazio della pece, ma casa nuova bisognava fare, e il
popolo aveva ad essere re. Invece certuni torcevano il
muso e gli voltavano le spalle, dicendo:  Il re vuol esse-
re lui. Lo speziale è di quelli della rivoluzione, per affa-
mare la povera gente! E se ne andavano piuttosto
all osteria della Santuzza, dove c era buon vino che scal- [ Pobierz całość w formacie PDF ]
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